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帕索里尼《葛兰西的骨灰》

 发条橙子刘 2019-10-16

皮埃尔·保罗·帕索里尼(Pier Paolo Pasolini),意大利导演。在文坛上以诗人成名。后写了描写罗马贫民生活的小说,属于当时的新进作家。他的小说重视视觉描述,受到电影人的赏识,创作多部优秀剧本。1961年开始执导筒。1964年的《马太福音》将圣经故事以次无产阶级革命的方式搬上银幕,遭到当时所有左翼人士的强烈抗议。他改编拍摄了希腊神话《俄狄浦斯王》和《美狄亚》,构筑他独特的史诗宗教的认识体系。晚期的《生命三部曲》(《十日谈》、《坎特伯雷故事》、《一千零一夜》)改编自中世纪题材的文学名著,是一种精神的欣悦和狂欢。《索多玛120天》则将他的性虐待幻想推到极致。1975年11月2日被同性恋少年杀害,被人称为:“死亡模仿艺术”。这位著名的异端人物一生桀傲不驯,以残酷、暴烈、惊怖的作品,以及传奇般的生活故事,来颠覆社会主流思想。其思想和意识充满了矛盾和极端性,浑身散发着挥之不去的自我憎恨,堪称西方文艺界的“怪胎”,是国际电影界最具争议的人物。

皮埃尔·保罗·帕索里尼《葛兰西的骨灰》

1

不像五月,这污浊的空气

使外邦人阴暗的园

更见阴暗,又用夺目的阳光

使它绚烂……赭色天台

上方水沫纵横的苍穹

用寥廓的半圆笼罩着

台伯河的曲线和拉齐奥的钴蓝色

群山……古旧的垣墙里

五月像秋天弥漫着死一般的

和平,纷扰如我们的命运,

承担整个世界的消沉,

十年结束,只看到

天真至极的拼搏,要在

崩坏的废墟中创造生活;

沉默,潮湿,无果……

青年,在那个五月,犯下错误表明

你还活着,在那个意大利的五月

至少曾使生活燃起,你,

与我们头脑空空却污浊明智的父辈

如此不同——但不是父亲,而是卑微的

兄弟——依旧,你曾用你的痩手

描绘着理想去光照

(但不是为我们:你,死了,我们

也在这潮湿的园中随你死去)

这沉默。你必须知道除了安息

你再也做不了什么,至今还困在

这格格不入的土里。贵族的慵懒

包围着你。只有锤子打击铁砧的

声响从泰斯塔乔的工场

微茫地来临,在夜晚

使人困倦,那里的窝棚,那里

暴露成堆的空罐头和废铁,在那里

哼着歌儿,浪荡着,一个学徒正

结束他的一天,最后的雨滴落完。

2

两个世界之间,停战,

我们不在其中。选择,效忠……

如今它们唯一的声音是这荒凉的

高贵的园子的声音,这里的

谎言曾折损生命,固执于死亡。

在精雕的石棺的环绕中,

这些灰、矮、庄严的石块上,

尘世的铭文只宣示

尘世人苟且生存的

命运。来自豪强诸国的

巨富们的骨头仍在

纵情燃烧,丑闻毋扰。

皇亲贵戚和鸡奸者们

闹哄哄地讥讽,永不消停,

他们的身体在散乱的瓮里,

已成骨灰,却仍污浊。

死亡的沉默在这里表明

一种礼貌的哑,人依旧

是人,表明一种沉闷,在公园的

沉闷中,悄悄地变化;而

无动于衷的城市,将他放逐

在那些贫民窟与教堂中间,这里,

不虔已深入虔敬,消尽了荣光。

它的土壤,盛产荨麻和苜蓿,

哺育这些细弱的柏树,这团黑色的

湿气,将苍白、嶙峋的黄杨

身后的墙垣浸满污迹,宜人的

夜晚将它们熄灭,化作藻类

无华的端倪……这片稀疏的

无味的青草,紫红色的黎明

会没入其中,只因一株薄荷

或烂干草的战栗,用白日的忧郁

默默地预示着夜晚

枯竭的恐惧。气候恶劣,

这些垣墙内的土壤

有甘甜的历史,土壤

与其他的土壤混合;这湿气

使人想起别处的湿气——熟悉的

纬度与地平线,

在那里,英国林间的冕湖

消失于苍穹,在那碧绿得

如磷光弹子台或翡翠的

草地上:“哦,泉源……”——虔诚的

祈祷回荡……

3

破红巾,党人们

系在脖子上的那种,

在瓮边,蜡一般的土上,

两株天竺葵,一种出众的红。

你躺在那儿,被放逐,以严格的

非天主教的优雅陈列其间,在外邦的

死者当中:葛兰西的骨灰……在希望

与我年深日久的怀疑之间,我走近你,

忽逢这草木萧疏的温室,在你的

墓前,在你的精神前,依然存活在

这自生自灭的一切中间。(或许它

是别的东西,也许更迷狂,甚至

更卑微:一种烂醉,青春期

性爱和死亡的共生……)

在这块大陆上你的激情从无

止息,我觉得你如此错误

——在这儿,在这些坟墓的安宁中——

又如此正确——在我们不安宁的

命运里,就像在刺杀之日

你为自己草拟最后的篇章。

这儿,表明还有未被古老的权威

撒下的种子,将这些

死者交给一种贪婪的掌握,

这贪婪将他们的壮举和羞耻

深埋在诸世纪中;同时,

宣告其终结:萦绕心头的

铁砧上的打击,压抑的,轻轻的

哀痛,来自卑微的街区。

而我在这儿……我穷,穿着

商场橱窗中叫穷人们眼馋的

衣服,因为它们在穷街陋巷和

电车座椅上熠熠闪耀(使我的

日子眼花缭乱)的粗粝光彩

已淡去;这些时刻愈来

愈少来临,来打断我维持生命

的焦苦;要是我居然

爱这世界,一种天真的

凶猛的感官之爱,一如我曾

恨这世界,当我还是迷茫的

青年,它的布尔乔亚之恶

伤害了我的布尔乔亚之心;如今,分离

——与你——难道这世界——或至少,

拥有力量的那一部分——只配得上

怨恨,或一种近乎神秘的蔑视?

然而没有你的严峻,我活下来

因为我不选择。我生活在死寂的

战后年代,没有意志:爱着

我恨的世界,蔑视它,迷失于

它的悲惨——在意识的

一个阴暗的耻辱中……

4

自相矛盾之耻辱,拥护你

又反对你;拥护你在心里,

在光里,却在阴暗的腑脏里反对你;

作为我的祖国的叛徒

——在我的头脑中,在行动的阴影里——

我知道我依附于她,以灼热的

本能和审美激情;吸引我的

是那走在你前沿的无产阶级

的生活;我觉得那是一种信仰,

它的喜乐,而不是它的千年

大计;它的天性,而不是它的

意识。只有原初的人类的

力量,随着他成为人便失去了

的力量,能为它带来这醉人的

乡愁,这诗性的光——更多的

我不知怎样言说,只知道

那绝不是纯粹的、抽象的

爱,不是哀痛的同志之情……

我与穷人一样穷,像他们

一样,把自己交给卑微的希望;像他们

一样,日复一日,几乎杀死自己,

只为过活。我的境遇

萧索,继承权被剥夺,

却拥有(布尔乔亚所拥有的

一切中最辉煌的)最终极的

条件。但当我拥有历史,

它也拥有我。我被它光照;

但这样的光有何用?

5

我说的不是个人,那不过是

感官的现象,感伤的激情……

他有别的恶;我也不想

说出他的罪,或他的宿命……

但哦我们共享的来自母腹的恶

与确凿无疑的罪交织在

他的深处!行动,内部的,

外部的,将他置入生活,

却没有免疫,去抵抗

那些信仰,在生活中,抵押

死亡,被创立,为了蒙骗

光,又把光照在那蒙骗之上。

他的遗骸注定要被

埋葬在维拉诺公墓;他

用天主教同它们斗争:他

用耶稣会的狂热预备自己的心;

在内部更深:他的意识中

有圣经式的智巧……有反讽的

自由激情……有粗粝的光彩,周围

是一个外省纨绔子的厌恶,外省

常规的厌恶……下降到细枝末节,

在那里,权威和无政府主义

都没入畜生般的深渊……远离

污浊的德行和酩酊的罪,

保卫一种令人迷狂的天真——这是

靠怎样的良心啊!——“我”这样生活:我

活着,逃避生活,当生活的感受

渐渐变成哀痛的

凶猛的漠然……哦,我多么

了解,在风湿润的呢喃声里

是沉默,这儿,罗马沉默,

在憔悴、躁动的柏树丛中,

在你身旁,精神的雕刻呼唤

雪莱……我多么了解感觉的

涡流,无常的命运(高贵的

北方旅客心中的

希腊)将他吞入第勒尼安海

璀璨的青碧,奇遇的

肉体之乐,审美

和童真:当匍匐的意大利,

如在一只巨大的蝉的

腹中,裂开拉齐奥白色的

海岸,随处点染氤氲的

巴洛克式松林和纤巧的、生满石南的

黄色林地,在那儿,一个年青的

罗马农人打着瞌睡,褴褛的衣中

阳具挺立,歌德式的梦……毒舌草

浩瀚的池沼黯淡了马利玛

的海岸,那里的榛树丛

像明晰的蚀刻,牧人沿着小径

在不觉间被他的青春充满。

韦西利亚的海岸有盲目的芬芳,

将它明确的曲线暴露给盲目的

缱绻的大海,简约的泥墙和

明亮的镶嵌,在复活节

充满人情味儿的乡间,

在辛括勒黯淡,在火热的

阿尔卑斯山麓绽放,

粉红之上的澄碧……

海岸在崩解,仿佛因峭壁上

芬芳的惊惧而动摇,在慵懒的

里维埃拉,太阳与微风相搏

要在大海的油膏之上给予无上的

和煦……性爱和光的广阔

无边的打击乐器愉悦地

作响,意大利对这太过

熟悉,竟不为之颤抖,活着

如行尸走肉;年青的人们

面孔黝黑,满是汗水,热烈地

呼唤着他们的同志之名,从

数百座港口,在里维埃拉的

人群中间,在后院的蓟园,

在腌臜的小海滩上……

你是否会要求我,无华的死者,

丢弃这绝望的激情

为活在这世界之中?

6

我走了,将你留在夜晚,

它的悲伤如此甜蜜地降临

我们生者,它蜡状的光

凝结在微明的街坊之间。

又激荡它,使它随处扩张,

更空幻,并在远处,用渴盼的

生活使它重燃,用轰隆隆

的电车和人们吵嚷的方言,

演一场隐约可闻的、地道的

音乐会。而你感觉——就像那些

遥远的存在,吵嚷、欢笑一生,

在他们的车中,在那些破败的

公寓里,在那儿,存在的天赋

被消费,它广博,却不可靠——

生命不过是一阵战栗:

肉身的、总体的一现;

你感到真正信仰的缺失;

不是生活,而是生存

——也许比生活快乐——与

畜人们同在,他们幽深的

亢奋中没有别的激情,

除了每日的工作:卑微的

热忱,将一种节日般的气氛

带给卑微的堕落。那些理想

越空幻——在这历史的真空中,

在这嘈杂的间歇里,生活是

沉默的——就越显广大无边,

古旧的,近乎亚历山大式的

感官逸乐,污浊地将一切

装饰以金色的光,当世上

有物崩塌,世界引着自身

前行,在暮光中,再进入

空荡的集市,颓丧的工场……

街灯已醒来,星星点点,在

扎巴利亚路,在富兰克林路,在

整个泰斯塔乔,赤裸着它浓艳的

小山,台伯河边的街道,河的

对岸,黑色的背景中,蒙特韦尔德

聚拢又消散,隐没于苍穹……

光的冠冕丢失了自身,

眩目,寒冷,像有大海般的

悲伤……晚餐时刻将近;

巴士寥寥,在街区闪烁,

一群工人直挤到车门,

一队士兵散漫地踱步,

走向小山,藏身于枯朽的

挖掘坑和干燥的垃圾堆间,

在那团催情的污秽之上,

妓女们幽暗的巢穴正忿怒地

等待:而不远处,在山旁,

或那些近乎世界的高楼间,

非法的窝棚边,男孩子们

如碎屑般轻盈,在春天(不再

寒冷)的微风中嬉戏;阴郁的

青年们洋溢着青涩的率真

沿着黑夜盛筵的石径

用口哨吹起故乡罗马的五月

之夜;车库的卷帘门

呼啸着,欢乐地降下,

黑暗已使夜晚安然,在

泰斯塔乔广场的悬铃树间,

风——在风暴中颤抖欲息——

美好而甘甜(虽会啃食屠场的

粗毛和泉华),浸满

恶臭之血,到处煽起

贫穷的反抗和气息。

生活,一片嘈杂,那些迷失

在它当中的人,如果心中充满它,

便安然地失去它。他们在此,

安享黑夜的苦命人。无力自卫者

深藏着巨大的威力,神话已

重生……但我,怀着一个只能

活在历史中的人的自知之心,

我能否再以纯净的激情去行动,

当得知我们的历史已终结?

1954

申 舶 良由纽约Farrar, Straus and Giroux出版社1996年版Norman MacAfee与Luciano Martinengo英译本《皮埃尔·保罗·帕索里尼诗选(Pier Paolo Pasolini Poems)》转译,并参考互联网上Michelle Cliff英译本。

Le ceneri di Gramsci

Pier Paolo Pasolini 



Non è di maggio questa impura aria 
che il buio giardino straniero 
fa ancora più buio, o l'abbaglia 

con cieche schiarite... questo cielo 
di bave sopra gli attici giallini 
che in semicerchi immensi fanno velo 

alle curve del Tevere, ai turchini 
monti del Lazio... Spande una mortale 
pace, disamorata come i nostri destini, 

tra le vecchie muraglie l'autunnale 
maggio. In esso c'è il grigiore del mondo, 
la fine del decennio in cui ci appare 

tra le macerie finito il profondo 
e ingenuo sforzo di rifare la vita; 
il silenzio, fradicio e infecondo... 

Tu giovane, in quel maggio in cui l'errore 
era ancora vita, in quel maggio italiano 
che alla vita aggiungeva almeno ardore, 

quanto meno sventato e impuramente 
sano 
dei nostri padri - non padre, ma umile 
fratello - già con la tua magra mano 

delineavi l'ideale che illumina 

(ma non per noi: tu morto, e noi 
morti ugualmente, con te, nell'umido 

giardino) questo silenzio. Non puoi, 
lo vedi?, che riposare in questo sito 
estraneo, ancora confinato. Noia 

patrizia ti è intorno. E, sbiadito, 
solo ti giunge qualche colpo d'incudine 
dalle officine di Testaccio, sopito 

nel vespro: tra misere tettoie, nudi 
mucchi di latta, ferrivecchi, dove 
cantando vizioso un garzone già chiude 

la sua giornata, mentre intorno spiove. 
II 

Tra i due mondi, la tregua, in cui non 
siamo. 
Scelte, dedizioni... altro suono non hanno 
ormai che questo del giardino gramo 

e nobile, in cui caparbio l'inganno 
che attutiva la vita resta nella morte. 
Nei cerchi dei sarcofaghi non fanno 

che mostrare la superstite sorte 
di gente laica le laiche iscrizioni 
in queste grigie pietre, corte 

e imponenti. Ancora di passioni 
sfrenate senza scandalo son arse 
le ossa dei miliardari di nazioni 

più grandi; ronzano, quasi mai 
scomparse, 
le ironie dei principi, dei pederasti, 
i cui corpi sono nell'urne sparse 

inceneriti e non ancora casti. 
Qui il silenzio della morte è fede 
di un civile silenzio di uomini rimasti 

uomini, di un tedio che nel tedio 
del Parco, discreto muta: e la città 
che, indifferente, lo confina in mezzo 

a tuguri e a chiese, empia nella pietà, 
vi perde il suo splendore. La sua terra 
grassa di ortiche e di legumi dà 

questi magri cipressi, questa nera 
umidità che chiazza i muri intorno 
a smotti ghirigori di bosso, che la sera 

rasserenando spegne in disadorni 
sentori d'alga... quest'erbetta stenta 
e inodora, dove violetta si sprofonda 

l'atmosfera, con un brivido di menta, 
o fieno marcio, e quieta vi prelude 
con diurna malinconia, la spenta 

trepidazione della notte. Rude 
di clima, dolcissimo di storia, è 
tra questi muri il suolo in cui trasuda 

altro suolo; questo umido che 
ricorda altro umido; e risuonano 
- familiari da latitudini e 

orizzonti dove inglesi selve coronano 
laghi spersi nel cielo, tra praterie 
verdi come fosforici biliardi o come 

smeraldi: 'And O ye Fountains...' - le pie 
invocazioni... 
III 

Uno straccetto rosso, come quello 
arrotolato al collo ai partigiani 
e, presso l'urna, sul terreno cereo, 

diversamente rossi, due gerani. 
Lì tu stai, bandito e con dura eleganza 
non cattolica, elencato tra estranei 

morti: Le ceneri di Gramsci... Tra 
speranza 
e vecchia sfiducia, ti accosto, capitato 
per caso in questa magra serra, innanzi 

alla tua tomba, al tuo spirito restato 
quaggiù tra questi liberi. (O è qualcosa 
di diverso, forse, di più estasiato 

e anche di più umile, ebbra simbiosi 
d'adolescente di sesso con morte...) 
E, da questo paese in cui non ebbe posa 

la tua tensione, sento quale torto 
- qui nella quiete delle tombe - e insieme 
quale ragione - nell'inquieta sorte 

nostra - tu avessi stilando le supreme 
pagine nei giorni del tuo assassinio. 
Ecco qui ad attestare il seme 

non ancora disperso dell'antico dominio, 
questi morti attaccati a un possesso 
che affonda nei secoli il suo abominio 

e la sua grandezza: e insieme, ossesso, 
quel vibrare d'incudini, in sordina, 
soffocato e accorante - dal dimesso 

rione - ad attestarne la fine. 
Ed ecco qui me stesso... povero, vestito 
dei panni che i poveri adocchiano in 
vetrine 

dal rozzo splendore, e che ha smarrito 
la sporcizia delle più sperdute strade, 
delle panche dei tram, da cui stranito 

è il mio giorno: mentre sempre più rade 
ho di queste vacanze, nel tormento 
del mantenermi in vita; e se mi accade 

di amare il mondo non è che per violento 
e ingenuo amore sensuale 
così come, confuso adolescente, un tempo 

l'odiai, se in esso mi feriva il male 
borghese di me borghese: e ora, scisso 
- con te - il mondo, oggetto non appare 

di rancore e quasi di mistico 
disprezzo, la parte che ne ha il potere? 
Eppure senza il tuo rigore, sussisto 

perché non scelgo. Vivo nel non volere 
del tramontato dopoguerra: amando 
il mondo che odio - nella sua miseria 

sprezzante e perso - per un oscuro 
scandalo 
della coscienza... 

IV 


Lo scandalo del contraddirmi, 
dell'essere 
con te e contro te; con te nel core, 
in luce, contro te nelle buie viscere; 

del mio paterno stato traditore 
- nel pensiero, in un'ombra di azione - 
mi so ad esso attaccato nel calore 

degli istinti, dell'estetica passione; 
attratto da una vita proletaria 
a te anteriore, è per me religione 

la sua allegria, non la millenaria 
sua lotta: la sua natura, non la sua 
coscienza: è la forza originaria 

dell'uomo, che nell'atto s'è perduta, 
a darle l'ebbrezza della nostalgia, 
una luce poetica: ed altro più 

io non so dirne, che non sia 
giusto ma non sincero, astratto 
amore, non accorante simpatia... 

Come i poveri povero, mi attacco 
come loro a umilianti speranze, 
come loro per vivere mi batto 

ogni giorno. Ma nella desolante 
mia condizione di diseredato, 
io possiedo: ed è il più esaltante 

dei possessi borghesi, lo stato 
più assoluto. Ma come io possiedo la 
storia, 
essa mi possiede; ne sono illuminato: 

ma a che serve la luce? 




Non dico l'individuo, il fenomeno 
dell'ardore sensuale e sentimentale... 
altri vizi esso ha, altro è il nome 

e la fatalità del suo peccare... 
Ma in esso impastati quali comuni, 
prenatali vizi, e quale 

oggettivo peccato! Non sono immuni 
gli interni e esterni atti, che lo fanno 
incarnato alla vita, da nessuna 

delle religioni che nella vita stanno, 
ipoteca di morte, istituite 
a ingannare la luce, a dar luce 
all'inganno. 
Destinate a esser seppellite 
le sue spoglie al Verano, è cattolica 
la sua lotta con esse: gesuitiche 

le manie con cui dispone il cuore; 
e ancor più dentro: ha bibliche astuzie 
la sua coscienza... e ironico ardore 

liberale... e rozza luce, tra i disgusti 
di dandy provinciale, di provinciale 
salute... Fino alle infime minuzie 

in cui sfumano, nel fondo animale, 
Autorità e Anarchia... Ben protetto 
dall'impura virtù e dall'ebbro peccare, 

difendendo una ingenuità di ossesso, 
e con quale coscienza!, vive l'io: io, 
vivo, eludendo la vita, con nel petto 

il senso di una vita che sia oblio 
accorante, violento... Ah come 
capisco, muto nel fradicio brusio 

del vento, qui dov'è muta Roma, 
tra i cipressi stancamente sconvolti, 
presso te, l'anima il cui graffito suona 

Shelley... Come capisco il vortice 
dei sentimenti, il capriccio (greco 
nel cuore del patrizio, nordico 

villeggiante) che lo inghiottì nel cieco 
celeste del Tirreno; la carnale 
gioia dell'avventura, estetica 

e puerile: mentre prostrata l'Italia 
come dentro il ventre di un'enorme 
cicala, spalanca bianchi litorali, 

sparsi nel Lazio di velate torme 
di pini, barocchi, di giallognole 
radure di ruchetta, dove dorme 

col membro gonfio tra gli stracci un 
sogno 
goethiano, il giovincello ciociaro... 
Nella Maremma, scuri, di stupende fogne 

d'erbasaetta in cui si stampa chiaro 
il nocciolo, pei viottoli che il buttero 
della sua gioventù ricolma ignaro. 

Ciecamente fragranti nelle asciutte 
curve della Versilia, che sul mare 
aggrovigliato, cieco, i tersi stucchi, 

le tarsie lievi della sua pasquale 
campagna interamente umana, 
espone, incupita sul Cinquale, 

dipanata sotto le torride Apuane, 
i blu vitrei sul rosa... Di scogli, 
frane, sconvolti, come per un panico 

di fragranza, nella Riviera, molle, 
erta, dove il sole lotta con la brezza 
a dar suprema soavità agli olii 

del mare... E intorno ronza di lietezza 
lo sterminato strumento a percussione 
del sesso e della luce: così avvezza 

ne è l'Italia che non ne trema, come 
morta nella sua vita: gridano caldi 
da centinaia di porti il nome 

del compagno i giovinetti madidi 
nel bruno della faccia, tra la gente 
rivierasca, presso orti di cardi, 

in luride spiaggette... 

Mi chiederai tu, morto disadorno, 
d'abbandonare questa disperata 
passione di essere nel mondo? 
VI 

Me ne vado, ti lascio nella sera 
che, benché triste, così dolce scende 
per noi viventi, con la luce cerea 

che al quartiere in penombra si 
rapprende. 
E lo sommuove. Lo fa più grande, vuoto, 
intorno, e, più lontano, lo riaccende 

di una vita smaniosa che del roco 
rotolio dei tram, dei gridi umani, 
dialettali, fa un concerto fioco 

e assoluto. E senti come in quei lontani 
esseri che, in vita, gridano, ridono, 
in quei loro veicoli, in quei grami 

caseggiati dove si consuma l'infido 
ed espansivo dono dell'esistenza - 
quella vita non è che un brivido; 

corporea, collettiva presenza; 
senti il mancare di ogni religione 
vera; non vita, ma sopravvivenza 

- forse più lieta della vita - come 
d'un popolo di animali, nel cui arcano 
orgasmo non ci sia altra passione 

che per l'operare quotidiano: 
umile fervore cui dà un senso di festa 
l'umile corruzione. Quanto più è vano 

- in questo vuoto della storia, in questa 
ronzante pausa in cui la vita tace - 
ogni ideale, meglio è manifesta 

la stupenda, adusta sensualità 
quasi alessandrina, che tutto minia 
e impuramente accende, quando qua 

nel mondo, qualcosa crolla, e si trascina 
il mondo, nella penombra, rientrando 
in vuote piazze, in scorate officine... 

Già si accendono i lumi, costellando 
Via Zabaglia, Via Franklin, l'intero 
Testaccio, disadorno tra il suo grande 

lurido monte, i lungoteveri, il nero 
fondale, oltre il fiume, che Monteverde 
ammassa o sfuma invisibile sul cielo. 

Diademi di lumi che si perdono, 
smaglianti, e freddi di tristezza 
quasi marina... Manca poco alla cena; 

brillano i rari autobus del quartiere, 
con grappoli d'operai agli sportelli, 
e gruppi di militari vanno, senza fretta, 

verso il monte che cela in mezzo a sterri 
fradici e mucchi secchi d'immondizia 
nell'ombra, rintanate zoccolette 

che aspettano irose sopra la sporcizia 
afrodisiaca: e, non lontano, tra casette 
abusive ai margini del monte, o in mezzo 

a palazzi, quasi a mondi, dei ragazzi 
leggeri come stracci giocano alla brezza 
non più fredda, primaverile; ardenti 

di sventatezza giovanile la romanesca 
loro sera di maggio scuri adolescenti 
fischiano pei marciapiedi, nella festa 

vespertina; e scrosciano le 
saracinesche 
dei garages di schianto, gioiosamente, 
se il buio ha resa serena la sera, 

e in mezzo ai platani di Piazza Testaccio 
il vento che cade in tremiti di bufera, 
è ben dolce, benché radendo i capellacci 

e i tufi del Macello, vi si imbeva 
di sangue marcio, e per ogni dove 
agiti rifiuti e odore di miseria. 

È un brusio la vita, e questi persi 
in essa, la perdono serenamente, 
se il cuore ne hanno pieno: a godersi 

eccoli, miseri, la sera: e potente 
in essi, inermi, per essi, il mito 
rinasce... Ma io, con il cuore cosciente 

di chi soltanto nella storia ha vita, 
potrò mai più con pura passione operare, 
se so che la nostra storia è finita? 

1954

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